Anthropocene: Il Disastro degli Oceani

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1. Le Origini della Vita

Fin dalle sue origini gli uomini hanno adorato il Dio Sole come sorgente della vita sulla terra e come nutrimento perpetuo della Vita sul pianeta.

Non si sbagliavano:

All'incirca due miliardi e mezzo di anni fa, nel brodo primordiale degli oceani sono comparsi dei particolari microrganismi, che grazie alla radiazione solare ed alla CO2 disciolta nell'acqua hanno acquisito la capacità di trasformare i componenti inorganici nelle prime molecole organiche semplici, alcoli e glucosio; queste molecole combinate con l’azoto ed il fosforo presenti nell'acqua hanno costruito le proteine e le altre molecole necessarie a trasferire l’energia del sole nella materia vitale che si è formata sul nostro pianeta a partire da questa epoca lontana:

6 CO2 + 6 H₂O + luce à C₆H₁₂O₆ +6 O2

Questa reazione, oltre a produrre il glucosio ha generato anche grandi quantità di ossigeno, che ha arricchito sempre più l’atmosfera della terra dando inizio a quella che le religioni chiamano la creazione o, che in ogni caso, in un lungo percorso di mutazioni è diventato il mondo che oggi possiamo ancora ammirare ed alla razza umana, la specie privilegiata.

L’energia dal sole, l’acqua degli oceani, l’anidride carbonica e l’ossigeno sono gli elementi dal cui equilibrio si è generato il miracolo della continuità della vita in tutte le sue specie, dove la morte di ogni singolo individuo si trasforma in nuova linfa, in un percorso di continua trasformazione che evolve e consolida l’armonia della natura.

La capacità degli organismi marini si è trasferita poi sulla terra ferma, dove il miracolo della fotosintesi clorofilliana è diventato la capacità di una vegetazione sempre più ricca e lussureggiante di piante, di foglie verdi che hanno nutrito e dato sviluppo a specie animali sempre più evolute sino all’homo sapiens, comparso poche centinaia di migliaia di anni fa.

Sul pianeta Terra nascono e si evolvono le specie viventi, ma quale è stato il loro sviluppo e la loro strategia vitale?:

  • I Vegetali: costituiscono circa l’85% delle specie viventi, ottengono l’energia per la loro esistenza dalla radiazione solare, non si muovono dal posto in cui sono nate, hanno bisogno di acqua, di anidride carbonica, di ossigeno, di sali minerali;

  • Gli Animali: costituiscono lo 0,3 % delle specie viventi, traggono l’energia per la loro esistenza dalle piante e dalla predazione, sono caratterizzate dal movimento, hanno bisogno di acqua, ossigeno, oltre agli alimenti;

  • I Funghi: circa il 2%

  • I Microrganismi circa 12%

La finalità di ogni essere vivente è la continuità della sua specie; la Durata Media delle specie sino ad ora esistite sul pianeta è di circa 5 milioni di anni, la specie Umana ha avuto origine circa 300.000 anni fa, nel corso della sua evoluzione ha determinato l’estinzione del 35% delle specie viventi.

Gli eventi sorprendenti e misteriosi, che hanno dato origine alla vita in tutte le forme esistenti, non finiscono nell'armonia di questo ecosistema: circa 300.000 anni fa, sulla terra si sviluppa una specie con particolari capacità di comunicare con i propri simili. Inizia un’evoluzione estremamente accelerata delle capacità della razza umana, lo sviluppo di una conoscenza che va al di là della vita dei singoli e che rimane patrimonio del gruppo, la scrittura, la memoria, la ragione, la consapevolezza di noi stessi, la conoscenza del mondo in cui viviamo.

Negli ultimi diecimila anni la specie umana ha compiuto un percorso incomparabilmente veloce, se paragonato all'evoluzione genetica degli altri esseri viventi o ai cambiamenti avvenuti nel corso delle ere geologiche. Ma anche in questa incredibile ascesa, la nostra vita non ha potuto fare a meno degli equilibri che si sono determinati sul nostro pianeta: delle condizioni climatiche che assicurano alla terra una temperatura media di circa 15 °C, dell’ossigeno e della purezza della nostra atmosfera, del ciclo dell’acqua che dai mari evapora e raggiunge le parti più lontane delle terre emerse, le cime delle montagne per ricadere come pioggia, fiumi e laghi che danno vita a piante ed a foreste senza le quali la nostra vita sarebbe impossibile.

Anche se specie privilegiata, la gran parte del percorso dell’evoluzione umana si è sviluppata nell'ambito della natura e delle sue leggi: l’agricoltura, l’allevamento, la conoscenza del fuoco a partire dai fulmini, la capacità di costruire con pietre e mattoni le case, le strade, gli acquedotti; il legno per costruire le navi, la forza del vento per viaggiare verso lidi lontani, la scoperta dei metalli, la fabbricazione dei tessuti dalla lana o dal cotone, dal lino. Fino a circa trecento anni fa la vita degli uomini si è evoluta per migliorare le condizioni della sua esistenza, per procurarsi abbondanza di cibo, per seguire il suo estro e la sua genialità senza alterare sostanzialmente gli equilibri della natura.

Ancora oggi è il fitoplancton che produce oltre il 40% dell’ossigeno che viene generato sul nostro pianeta e che alimenta lo zooplancton, una grande varietà di microrganismi che popola le acque dei mari e che costituisce il nutrimento basilare per gran parte delle specie che vivono negli oceani.

Gli oceani si estendono per 361 milioni di Km2 circa il 71% della superficie terrestre, la loro profondità media è di 3,8 Km, il Volume è 1,38 miliardi di Km3: questo spazio è enormemente superiore a quello occupato dalla vita sulle terre emerse. I Mari e gli Oceani sono il cuore pulsante del nostro pianeta.

Gli animali più grandi della terra, le balene, gli squali balena, le mante si cibano quasi esclusivamente di plancton che continua ad essere il pilastro della catena alimentare per la fauna marina e di conseguenza per l’equilibrio di tutto l’ecosistema terrestre.

2. Gli ultimi 250 anni

A partire da circa duecento cinquanta anni fa, l’uomo scopre la forza del vapore per creare macchine in grado di svolgere una gran mole di lavoro: scava nelle viscere della terra il carbone, l’energia accumulata in milioni di anni, e la brucia a suo piacimento. La stessa cosa avviene con il petrolio: l’umanità inizia un percorso che lo allontana sempre di più dai cicli naturali alla base dell’equilibro dell’ecosistema.

3. La nascita e lo sviluppo della Plastica

Se l’uso intensivo dei combustibili fossili è iniziato circa 250 anni fa, l’invenzione e lo sviluppo della Plastica risalgono ad epoche molto più recenti: grazie all'evoluzione delle conoscenze della chimica ed alle sostanze ricavate dal petrolio, nel 1869 negli Stati Uniti viene sintetizzata la celluloide, un materiale plastico nato con l’intenzione di fabbricare le palle di biliardo senza ricorrere all'avorio; dopo poco tempo questa stessa sostanza fu utilizzata per le pellicole della nascente industria cinematografica. Nel 1907 viene scoperta la bachelite, un nuovo tipo di plastica con caratteristiche meccaniche e strutturali ancora più performanti; nel 1920 in Germania viene scoperto il meccanismo delle reazioni chimiche della polimerizzazione, alla base della produzione della maggior parte delle future materie plastiche; nel 1926 si produce il PVC poli-cloruro di vinile che dà l’inizio ad un’ampia produzione di oggetti industriali, domestici, di contenitori per alimenti; nel 1935 viene scoperto il nylon ed inizia l’epoca delle fibre sintetiche, segue il poliestere nel 1940; tra il 1953 ed il’63 il tedesco Ziegler e l’italiano Natta mettono a punto il processo per la produzione del polipropilene isotattico, il Moplen. E’, dunque, in epoca recente che si è sviluppata l’Industria della Plastica, a partire dal 1960 ma è cresciuta con enorme rapidità, spinta dalle già evolute capacità industriali e dalla grande disponibilità finanziaria delle industrie petrolifere che hanno puntato su questo nuovo settore per incrementare ulteriormente il loro volume d’affari con una gran quantità di prodotti la cui materia prima era ancora costituita da derivati del petrolio, loro monopolio esclusivo.

La produzione mondiale di plastica, a partire dagli anni ‘50 è in continua crescita: dai 15 milioni di tonnellate del 1964, siamo passati ai circa 400 milioni del 2016; nel 1989 i milioni di tonnellate prodotte erano 100, nel 2000 intorno a 200, nel 2009 ben 250. Il tasso di crescita annuo della produzione della plastica, dagli anni ’60, è stato di circa il 9% all'anno.

Nel 1990 la produzione ha superato quella dell’acciaio; oggi la plastica è il terzo materiale umano più diffuso sulla Terra, dopo acciaio e cemento. La plastica prodotta dal 2000 a oggi è pari alla plastica prodotta nei 50 anni precedenti.

Per quanto riguarda il volume d’affari del mercato della plastica, nel 2019 è stato valutato di circa 568,7 miliardi di dollari USA.

Come per la maggior parte dei prodotti petroliferi, il mercato della plastica, a partire dalla produzione dei componenti base, i monomeri che vengono poi polimerizzati e miscelati, è dominata da un ristretto numero di multinazionali dai fatturati miliardari. Ecco i principali:

  • ·BASF (USD 63,7 miliardi);

  • ENI (61,6 miliardi di USD),

  • Dow Chemical (49 miliardi di dollari);

  • Lyondell Basell (33 miliardi di dollari);

  • Exxon Mobil (236 miliardi di dollari);

  • SABIC (35,4 miliardi di dollari);

  • INEOS (40 miliardi di dollari);

  • LG Chem (USD 16,8 miliardi);

  • Chevron Phillips (13,4 miliardi di dollari);

  • Lanxess (7,9 miliardi di dollari).

Il settore della plastica utilizza dal 4 al 6% della quantità di petrolio prodotto all'anno ma il suo volume d’affari vale circa il 20% del fatturato globale del petrolio: si può facilmente comprendere quale sia l’interesse delle imprese monopolistiche del settore dell’estrazione del petrolio, che già genera enormi profitti, ad incrementare il settore della plastica, che è una vera gallina dalle uova d’oro.

E’ opportuno, a questo punto, analizzare se a questo enorme sviluppo dei prodotti della plastica, oltre all'interesse delle multinazionali che li producono, corrisponde un importante valore aggiunto per gli utenti di tali prodotti.

Certamente al giorno d’oggi dovunque ci guardiamo intorno troviamo oggetti di plastica o che contengono molti altri particolari di plastica al loro interno.

Consideriamo il settore del Package dei prodotti alimentari, circa il 30% della plastica è impiegato in questo settore: consideriamo p. es. le bottiglie di acqua minerale. Se andiamo in un supermercato, la gran parte delle acque minerali le ritroviamo imbottigliate in contenitori di plastica che, dopo aver consumato l’acqua, non possiamo fare altro che buttarli, magari differenziando questo rifiuto, augurandoci che vengano effettivamente riciclati o, perlomeno, smaltiti senza creare problemi di inquinamento. Al supermercato, però, troviamo anche dell’acqua minerale in bottiglia, il cui prezzo è confrontabile con quello dei prodotti imbottigliati nella plastica: in effetti mentre una bottiglia di vetro pesa circa 400 gr e costa all'incirca 0,4 – 0,5 €, una bottiglia di plastica pesa 40 gr e costa dai 0,25 – 0,35 €; il vantaggio del cliente, in termini di prezzo, è molto relativo, meno di 10 centesimi di euro, quello dei produttori delle bottiglie di plastica e dei loro fornitori della materia prima è il vero vantaggio, visto che il peso di una bottiglia è meno di 50 gr e la materia prima vale circa 1 € al kg !

Per giunta la bottiglia di plastica ha un costo per la comunità che deve gestirlo come rifiuto, mentre le bottiglie di vetro potrebbero, molto facilmente, essere riutilizzate con un semplice ciclo di sterilizzazione.

Solo in Italia si consumano oltre 9 miliardi di bottiglie di plastica all'anno per l’acqua minerale!

La Coca Cola, da sola, produce 150.000 bottiglie di plastica al MINUTO; 79 miliardi /anno, circa 3 milioni di Ton / anno.

Nel Mondo la produzione di Bottiglie di PET (Polyethylene terephthalate ) è di circa 1.000.000 / minuto, 526 miliardi / anno, per circa 20 milioni di Ton / anno.

Consideriamo i sacchetti di plastica nei quali riponiamo la nostra spesa ai supermercati: in Europa se ne consumano oltre 100 miliardi l’anno, ma nel mondo la produzione è di 150.000 sacchetti / secondo! 5.046 miliardi / anno, 650 sacchetti /anno per ogni persona del pianeta!

Questi sono i dati di produzione dei sacchetti di plastica prodotti ogni anno, anche oggi nonostante in Europa sia stato deciso il disincentivo al loro consumo, per cui invece di essere gratis, ci vengono addebitati al prezzo di pochi centesimi, per cui li paghiamo senza farci troppo caso nel conto della spesa. L’unico vero disincentivo consisterebbe solamente nel vietarne tassativamente l’utilizzo: l’uso del sacchetto di plastica non ci crea nessun tipo di vantaggio, se avessimo un minimo di accortezza a procurarci dei sacchetti adeguati di stoffa solida e ci abituassimo a prenderli prima di andare a fare la spesa, avremmo un piccolo risparmio e non contribuiremmo allo spargimento di enormi quantità di inutili rifiuti.

Un altro prodotto usa e getta emblematico della nostra civiltà dei consumi, sono le cannucce di plastica: in Inghilterra se ne consumano 8.5 miliardi /anno, 23 milioni al giorno; negli USA 500 milioni di cannucce al giorno, 182 miliardi /anno.

Questi sono i numeri ed i quantitativi di prodotti di plastica usa e getta di quotidiano utilizzo in tutti i paesi del mondo che molto facilmente potremmo sostituire con prodotti di altri materiali, utilizzabili più volte e soprattutto evitando di generare enormi quantità di rifiuti di Plastica!

4. Il fine Vita dei prodotti di Plastica

Al di là del loro dubbio vantaggio per l’utente, vediamo in che modo i prodotti di plastica, nati da non più di 70 anni, stanno creando un impatto di enorme entità sull'ambiente naturale, in particolare negli oceani.

In che cosa differisce la Plastica ed i suoi prodotti da quelli realizzati con sostanze naturali a partire da migliaia di anni fa sino al 1960? Quali sono le differenze tra il legno, le fibre ottenute dalle piante, i metalli, il vetro, altri materiali del tipo delle rocce, il marmo oppure quelli lapidei come la creta, l’argilla, la pozzolana e la Plastica?

4.1 – La plastica non è Biodegradabile

Come si può vedere dalla fig. 3 e dalla tabella 1, i rifiuti dei materiali di plastica non sono biodegradabili.

Le materie prime utilizzate sin dai tempi più remoti fino al 1960, legno, carta, fibre vegetali, lana, seta, pellame, ecc.degradano nel tempo: nel giro di pochi giorni o di qualche anno, vengono attaccati da microrganismi che svolgono la loro azioni sia nel terreno che nell’acqua riducendoli in composti semplici che ritornano ad alimentare il ciclo vitale di piante o animali.

I composti della plastica non vengono attaccati da nessun tipo di batterio e rimangono inalterati per periodi lunghissimi, dalle decine di anni sino alle migliaia.

In figura 2 e nella tabella 1 sono riportate una serie di indicazioni che riguardano le principali categorie di prodotti: le bottiglie di plastica dell’acqua, della coca cola, del latte e di moltissime altre bevande hanno una durata di 1000 anni, così pure i sacchetti di plastica, i piatti, i bicchieri, le posate, le cannucce e prodotti analoghi usa e getta. I pannolini per bambini, gli assorbenti igienici durano sino a 400 anni, tessuti sintetici 500 anni; i mozziconi di sigarette con filtro, realizzati con acetato di cellulosa, hanno una durata che può raggiungere i 10 anni.

Certamente anche una bottiglia di vetro abbandonata su di una spiaggia è un rifiuto esteticamente sgradevole e non si deteriora nell'ambiente per migliaia di anni: ma non si altera, non si sbriciola ed ha una composizione identica alla silice che costituisce moltissimi tipi di rocce naturali. Per giunta costituisce un rifiuto il cui materiale ha un valore intrinseco, ovvero può essere riutilizzata con un ciclo di lavaggio e sterilizzazione ad un costo molto inferiore della sua produzione oppure può essere completamente riciclata come materia prima.

Allo stesso modo una lattina di alluminio costituisce un rifiuto sgradevole alla vista ma, come per tutti i metalli, il loro riciclo come materia prima è possibile un numero infinito di volte e questo processo è molto meno costoso che non la loro produzione dai minerali scavati in miniera.

Per quanto riguarda il legno, la carta, il cartone, purché si tratti di materiali naturali e non contaminati da resine plastiche, hanno un ciclo di degrado simile ai rami degli alberi o a quello delle foglie in un bosco.

4.2 – Quali sono i percorsi possibili per lo smaltimento dei rifiuti di Plastica

Diverso è il caso di una bottiglia di plastica o di un sacchetto, una volta persa la loro funzionalità vengono buttati e analizziamo quale potrebbe essere il loro percorso di fine vita: quello ecologicamente più adeguato è:

B. il Riciclo della materia prima di cui essi sono costituiti. Affinché tale percorso sia tecnicamente possibile ed economicamente conveniente, si devono attuare una serie di condizioni indispensabili: l’oggetto da riciclare deve essere composto di un'unica materia prima di plastica, il codice di tale materiale, deve essere marcato sul prodotto ed il consumatore deve adeguatamente differenziare gli scarti, separandoli per tipologia di materiale. I rifiuti separati e preparati dagli utilizzatori devono essere ciclicamente raccolti e portati alle imprese organizzate per eseguire i processi di trasformazione e recupero della materia prima.

Le plastiche sono costituite da macromolecole dette "polimeri" a loro volta costituite da catene di molecole più piccole, dette invece "monomeri".

Anche se comunemente diciamo che un’ampia gamma di prodotti che utilizziamo con frequenza sono di Plastica, le materie prime con cui sono fabbricati sono differenti e per poter essere avviate al processo di Riciclo devono indispensabilmente essere separate le une dalle altre.

Ecco una lista di quelle più diffuse sul mercato dei prodotti di consumo:

  • il PE (polietilene): usato per la produzione di sacchetti, cassette, nastri adesivi, bottiglie, sacchi per la spazzatura, tubi, giocattoli, etc.

  • il PP (polipropilene): utilizzato per la produzione di oggetti per l'arredamento, contenitori per alimenti, flaconi per detersivi e prodotti per l'igiene personale, moquettes, mobili da giardino, etc.

  • il PVC (cloruro di polivinile): impiegato per la produzione di vaschette per le uova, tubazioni e pellicole isolanti tanto che lo si trova anche tra i muri di casa, nelle porte, nelle finestre o nelle piastrelle e, addirittura, nelle vesti di carte di credito

  • il PET (polietilentereftalato): utilizzato soprattutto per le bottiglie di bibite e di acqua minerale, ma anche per la produzione di fibre sintetiche

  • il PS (polistirene o meglio noto come polistirolo): usato per produrre vaschette per alimenti, posate, piatti, tappi, etc.

Tutti gli oggetti di plastica che buttiamo ogni giorno dovrebbero avere, chiaramente impresso uno di questi simboli:

Per poter rendere effettivamente possibile e conveniente il ricircolo dei materiali di plastica dei prodotti di seguito elencati, ogni famiglia dovrebbe provvedere alla raccolta separata per tipo di plastica dei loro rifiuti:

  • Tutti i contenitori che recano le sigle PE, PET e PVC

  • Contenitori per liquidi

  • Bottiglie per bevande

  • Flaconi per prodotti per l'igiene personale e pulizia per la casa

  • Shampoo, Bagnoschiuma

  • Detersivi

  • Vaschette per l'asporto di cibi

  • Confezioni per alimenti

  • Polistirolo espanso degli imballaggi e simili

  • Borse di nylon

  • Plastica in pellicola.

Non è possibile avviare al Riciclaggio tutti i contenitori che non recano le sigle PE, PET e PVC, tutti i contenitori che presentano residui di materiali organici (es.: cibi) o di sostanze pericolose (vernici, colle, etc.), giocattoli, custodie per cd, musicassette e videocassette, piatti, bicchieri e posate in plastica, tubi di dentifricio, bottiglie di olio, rifiuti ospedalieri (es.: siringhe, sacche per il plasma, contenitori per liquidi fisiologici e per emodialisi), beni durevoli di plastica (es.: articoli di casalinghi, elettrodomestici, completi per l'arredo, etc.), articoli per l'edilizia, grucce per appendiabiti.

Dunque, bisogna avere ben presente che, quella che giornalmente separiamo e conferiamo, in maniera differenziata nei sacchetti per la plastica, non può essere direttamente avviata ai processi di riciclaggio ma ha indispensabilmente bisogno di una ulteriore fase di cernita e di separazione. Realizzare con processi automatici questa separazione è tecnicamente impossibile, per cui tale separazione deve essere fatta con una cernita manuale, è questo il motivo per cui, anche nei paesi sviluppato dove la gestione dei rifiuti viene gestita regolarmente, la gran parte della plastica che viene Riciclata in realtà viene spedita in grandi quantità nei paesi arretrati dove la mano d’opera ha costi molto più bassi che rendono possibile un minimo ricavo dalla operazione di riciclo.

Il riciclaggio della plastica richiederebbe l’accurato svolgimento di queste tre fasi: la separazione per tipo di materiale, il recupero sul territorio ed il conferimento alle imprese che eseguono i trattamenti; nella maggioranza dei casi, queste operazioni vengono condotte da tre soggetti differenti, le attività di ciascuno di loro devono essere costanti ed adeguate ma, non basta, perché se non si raggiungono, per le diverse specie di plastica, dei volumi adeguatamente consistenti e costanti nel tempo, questo processo perde il suo margine economico, che è comunque molto ridotto e non giustificherà l’iniziativa industriale di tale processo.

Ultima fondamentale considerazione sul processo che stiamo definendo come Riciclo dei materiali plastici riguarda il fatto che, a differenza dell’uso della materia prima che viene prodotta con dei processi di polimerizzazione direttamente dai componenti base, il processo di recupero e di riutilizzo del polimero comporta un significativo degrado del materiale riciclato rispetto a quello vergine, per cui dopo un limitato numero di recuperi il materiale non si può riciclare ulteriormente.

C. La Termovalorizzazione I rifiuti di plastici, anche se raggruppati in maniera non separata per tipo di materia prima ed anche se contaminati da alimenti, possono essere avviati ai processi di Termovalorizzazione, ovvero possono essere bruciati come combustibile, visto che il loro potere calorifero è paragonabile a quello del carbone.

Anche per questo processo è indispensabile la raccolta separata dei materiali di plastica da parte delle famiglie, ma non è necessaria la separazione per tipologie di materiale. Questa destinazione di smaltimento risulta meno dannosa del confinamento in discarica dei rifiuti indifferenziati, la plastica di scarto viene utilizzata in quota parte come combustibile in impianti che producono energia elettrica, o per esempio nei cementifici con la sua conseguente distruzione. Ma per evitare problemi altrettanto gravi di inquinamento dell’atmosfera con la messa in circolo di veleni come p.es. la diossina, occorre che nella plastica siano assenti i componenti, purtroppo frequentemente aggiunti come additivi, che possono generare fumi di combustione particolarmente velenosi e nocivi e di difficile purificazione, prima di essere scaricati in aria.

D. L’Accumulo in Discarica: La terza alternativa che riguarda un fine vita dei prodotti plastica, comunque gestito ed organizzato, nei paesi dove esiste una raccolta sistematica di tutti i rifiuti, è l’accumulo nelle discariche, dove se non sono idonei per le altre due destinazioni, sopra indicate, rimangono per tempi indefiniti.

E. Abbandono nell'Ambiente: Purtroppo, in tutti i paesi del pianeta, in quelli sviluppati ma soprattutto nei paesi arretrati o a basso tasso di sviluppo, esiste un quarta possibilità: il rifiuti di plastica vengono abbandonati nell'ambiente, sulle spiagge, nei prati, nei boschi, nelle strade delle città, nei fiumi, nei mari.

Un dato esemplificativo: negli anni scorsi sul monte Everest, i circa 800 scalatori all’anno hanno abbandonato circa 35 tonnellate /anno! (vedi fig. 25)

Ma senza dover andare molto lontano da noi, girando nelle strade, sulle spiagge, nelle campagne è esperienza comune trovare sistematicamente rifiuti di plastica abbandonati!!

F. le Microplastiche: Nell'esaminare i possibili percorsi del fine vita dei prodotti di Plastica dobbiamo, purtroppo, prendere in considerazione un’ulteriore categoria di rifiuti della Plastica: sono dei minuscoli pezzi di materiale plastico, solitamente inferiori ai 5 millimetri sino a micron o ancora più piccoli, che In base alla loro origine, possono essere suddivise in due categorie principali:

Le Microplastiche primarie:

Rilasciate direttamente nell'ambiente sotto forma di piccole particelle, si stima che questa categoria di microplastiche rappresenti il 15-31% delle microplastiche presenti nell'oceano-

Fonti principali:

  • lavaggio di capi sintetici (35% delle microplastiche primarie)

  • Abrasione degli pneumatici durante la guida (28%)

· Microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo (per esempio, le micro-particelle dello scrub del corpo) 2%

Le Microplastiche secondarie:

· Prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste di plastica, bottiglie o reti da pesca

Le Microplastiche secondarie rappresentano circa il 68-81% delle microplastiche presenti nell’oceano.

Come si può facilmente capire, il rilascio di microplastiche da parte di tutti capi di vestiario di materiale sintetico, lavati in lavatrice viene scaricato nelle fogne e, quindi, in mare senza possibilità di filtraggio; stessa destinazione hanno le microplastiche contenute nei saponi o nei prodotti per la cura del corpo che vanno in fogna dall'acqua delle nostre docce. Egualmente senza possibilità di evitarlo, in tutte le nostre strade si diffondono nell'aria le microplastiche dovute al consumo dei copertoni delle auto: ogni cambio a circa 70.000 Km percorsi dalle nostre auto ha scaricato nell'aria la metà del loro peso che inevitabilmente andiamo a respirare nell'aria delle città in cui viviamo.

Abbiamo solo citato due casi per i quali non è possibile, attualmente, realizzare nessuna metodologie di recupero o smaltimento controllato dei tanti prodotti di plastica che quotidianamente andiamo ad utilizzare.

5 – Dove finisce oggi la Plastica che buttiamo via?

Per comprendere la problematica dello smaltimento dei prodotti di plastica è opportuno ripartire dal grafico della produzione della plastica a partire dall’inizio del suo uso intensivo, dal 1950:

nel 2020 il quantitativo di prodotti di plastica ha superato i 400 milioni di tonnellate/anno ma, per quanto abbiamo visto sulla loro durata nel tempo, dalle decine alle migliaia di anni, mentre quotidianamente vengono realizzati e venduti nuovi prodotti di plastica, i RIFIUTI DI PLASTICA SI ACCUMULANO; da qualche parte, sulla terra ci sono gli scarti della plastica prodotta, consumata e buttata via 50 – 60 anni fa!

L’analisi della situazione odierna deve prendere in considerazione, dunque, non la plastica prodotta negli ultimi anni, bensì dobbiamo prendere in considerazione tutta la plastica prodotta a partire dagli anni ’60: stiamo parlando di 9,8 miliardi di tonnellate (!!) che in buona parte hanno dato origine a rifiuti e che presumibilmente, in assenza di un drastico cambio di rotta, continueranno a cresceranno nel tempo secondo la curva del grafico di fig. 6.

In fig. 7 la produzione della plastica è ripartita per i diversi settori di impiego e nella fig. 8 viene evidenziata la generazione dei rifiuti a partire dagli stessi settori.

Questi stessi dati sono presentati nelle seguenti due tabelle:

Dal confronto delle tabelle 2 e 3 si può evidenziare come dei 407 Mil.Ton di plastica prodotta si originano 302 Mil.Ton di rifiuti, ovvero circa il 25 % della plastica prodotta rimangono all’interno dei prodotti per i quali sono stati realizzati: la plastica usata nelle costruzioni, p.es., guaine tubazioni, cavi elettrici, materiali isolanti ecc. rimane all’interno degli edifici e non dà luogo a scarti, così pure le parti in plastica dei macchinari industriali. Al contrario nella tab. 3 si può notare come per i primi quattro settori, di plastica usa e getta, la gran parte del materiale plastico prodotto diventa rifiuto, costituiscono l’85% del totale.

Ribadiamo che questi dati, pur riferendosi all’anno 2015, sono analoghi per gli altri periodi e, quel che è peggio vanno a sommarsi di anno in anno.

5.1 – Modalità di smaltimento della plastica nel passato sino ad oggi

Il grafico di figura 9 dà una prima indicazione di quale è stata la destinazione della plastica prodotta dall'inizio sino al 2015: del totale della materia prima prodotta stimata al 2015 in 8300 Mil di Ton, circa il 25% è costituito da prodotti che sono ancora in uso, dato in accordo con le valutazioni rilevate per il 2015 in fig. 7 e 8 ed in Tab. 2 e 3; 5800 Mil.Ton sono state di plastica usa e getta, di questa 500 (8,6 %) sono state avviate al riciclo ma, dopo un primo riutilizzo, 300 sono state smaltite successivamente in discarica, 100 sono andate alla termovalorizzazione e solo 100 sono ancora in uso. Delle 5800 Mil Ton di plastica usa e getta prodotta, 700 M.T. sono state avviate alla termovalorizzazione ed il resto 4600 M.T. sono andate disperse o avviate in discarica.

Dati congruenti con quelli della fig. 9 sono riportati in fig. 10, relativi alle modalità di smaltimento dei rifiuti della plastica dal 1980 al 2015.

Fino ad ora abbiamo esaminato dei dati a livello globale ma, per comprendere adeguatamente le problematiche dell’inquinamento che deriva dalla plastica, è indispensabile analizzare la produzione e lo smaltimento della plastica nelle varie aree del pianeta.

Come si vede in fig. 11, il 50% della plastica nel mondo è prodotta in Cina ed in Asia e solo il 35% in Europa ed America del Nord, ovvero in aree ad avanzato livello di sviluppo dove esiste una gestione organizzata dei rifiuti. In figura 11 è in maniera analoga suddivisa tra i vari paesi la generazione dei rifiuti della plastica.

Dalla fig. 12 si comprende come le quantità di rifiuti generati da Cina, USA e Germania siano notevolmente maggiori delle loro produzioni di plastica, evidentemente in virtù delle notevoli importazioni di tali paesi.

In aggiunta, oltre ad analizzare le quantità di plastica prodotte e i rifiuti generati nelle varie aree geografiche del mondo, la gravità dell’inquinamento prodotto è anche una diretta conseguenza delle modalità di gestione dei rifiuti ed il prossimo grafico ci dà delle ulteriori indicazioni su tale problematica.

Come si vede dalle figure 13 e 14 la gestione inadeguata dei rifiuti ed in particolare di quelli della plastica crea le problematiche di maggiore gravità per l’inquinamento, principalmente per quello dei mari. I dati sia del 2010 che le proiezioni per il 2025 indicano come particolarmente critiche le zone geografiche dell’Asia e del Pacifico. Per quanto riguarda il mar Mediterraneo una delle situazioni di notevole problematicità e quella dell’Egitto.

5.2 – L’inquinamento dai rifiuti della plastica negli Oceani

Se lo smaltimento dei rifiuti di plastica genera problemi sui territori per l’accumulo progressivo nelle discariche e per l’indiscriminato abbandono nelle località turistiche, sulle spiagge, nei boschi ecc.. che subisco un evidente degrado ambientale; considerando però che si tratta di un materiale fondamentalmente inerte e relativamente poco a contatto con le specie animali e quelle vegetali, l’inquinamento di gran lunga più dannoso e deleterio è quello che riguarda lo sversamento dei rifiuti della plastica nei mari e negli oceani e le disastrose conseguente per questi ecosistemi.

Per valutare l’entità di tali sversamenti e le criticità nelle varie aree degli oceani sono stati effettuati numeroso studi che prendono in considerazione i territori delle zone costiere, per una profondità di 50 km o adiacenti alle sponde dei fiumi sempre in un intorno del territorio di 50 Km.

In fig. 15 vengono evidenziati per tali territori la percentuale dei rifiuti che viene inadeguatamente gestita e che di conseguenza risultano a maggior rischio di sversamento in mare dei rifiuti della plastica.

Sulla base di approfondite analisi è stato valutato un modello quantitativo che determina la più probabile entità degli sversamenti in mare dei rifiuti della plastica. fig. 16:

I dati di questa ricerca sono stati verificati e validati da molti altri studi che concordano su una quantità di circa il 3,1% della plastica consumata nel mondo che generalmente finisce per essere sversata nei mari e negli oceani del pianeta che, con riferimento ai dati del 2015 della fig. 16, equivalgono a circa 8 milioni di ton/yr.

Tenendo conto che la quantità di plastica prodotta sino ad oggi nel mondo è di circa 9,8 Miliardi di Tonnellate la quantità presente attualmente negli oceani è di circa 300.000.000 di ton, quantitativo che equivale a circa 1/3 della massa dei pesci che abitano tutti gli oceani. Si stima che nel 2050 nei nostri oceani, continuando ai ritmi attuali, ci sarà più plastica che pesci negli oceani del mondo.

Tra le cause principali di sversamenti di rifiuti di plastica negli oceani c’è l’apporto delle correnti dei fiumi, principalmente di quelli che scorrono in paesi ad elevato consumo di plastica e con gestione inadeguata dello smaltimento dei rifiuti. In fig. 17 si riportano le quantità trasportate dai 20 fiumi maggiormente inquinanti. In fig. 18 c’è una fotografia relativa alle condizioni del fiume Yangtze in China che rende drammaticamente la visione di tali apporti di rifiuti plastici.

La Fig. 19 dà una ulteriore conferma che gli afflussi di rifiuti di plastica provenienti da fiumi all'86% sono relativi agli oceani che bagnano l’Asia, in particolar modo per quanto riguarda l’oceano Pacifico. Dalla fig. 20 si può vedere che del totale di 268.950 ton di rifiuti di plastica che nel 2013 si stimava fossero presenti sulla superficie degli oceani la maggior parte, 96.400 ton erano presenti nel Nord Pacifico.

I materiali di plastica hanno una densità che varia tra 0,8 e 1,3 rispetto a quella dell’acqua (Vedi tab. All.1 ) quindi una parte dei loro rifiuti galleggia, circa il 20%, ed un’altra parte più consistente va a fondo, circa l’80%, a meno che non sia frantumata in microplastiche che comunque tendono ad essere flottanti nella massa dell’oceano.

Dopo aver analizzato i dati dell’attività umana nel recentissimo settore della produzione e consumo della plastica andiamo a verificare quali sono stati i cambiamenti provocati all'ambiente naturale in meno di 70 anni. La presenza di grandi quantità di plastica disperse sulla superficie degli oceani è diventata tragica realtà nel 1997 quando il velista Charles Moore si imbatté, navigando tra le Hawaii e la costa della California in una enorme massa di rifiuti galleggianti che il giro delle correnti del nord del Pacifico aveva convogliato stabilmente in un’area di circa 16 milioni di Km2, circa 3 volte la superficie della Francia, la Great Pacific Garbage Patch .

I vortici delle correnti degli oceani trasportano i rifiuti di plastica per migliaia di chilometri (fig. 22) Da un recente studio del 2018 pubblicato su Nature, il GPGP comprende 1,8 trilioni di pezzi di plastica, con una massa di 79.000 tonnellate (circa il 29 percento delle 269.000 tonnellate negli oceani di superficie del mondo) in continua crescita esponenziale della quantità di rifiuti di materie plastiche.

La GPGP è formata da plastica al 99,9%, la sua composizione comprende il 52 % di materiali da attività di pesca, reti di nylon, lenze, corde da pesca; un ulteriore 47 % di altri tipi di plastica di varie dimensioni, di cui l’8,1 % di microplastiche, detriti di plastica inferiori ai 5 mm.

Tra i materiali ritrovati cinquanta avevano impressa e leggibile la data di produzione: il più vecchio rifiuto era del 1977, sette oggetti erano del 1980, 17 degli anni ’90, 24 degli anni 2000 e uno solo degli anni ’10 di questo secolo, se mai ce ne fosse bisogno una diretta testimonianza della lunga persistenza della plastica nell’ambiente naturale e della sua capacità di spostarsi per lunghe distanze dai luoghi in cui è stata utilizzata. Altre drammatiche testimonianze delle rovinose conseguenze dei tale diffusione sono relative alla contaminazione massiccia di isole remote, veri paradisi della natura contaminate da tonnellate di rifiuti di plastica:

In fig. 23 si vede la gran quantità di rifiuti che ha deturpato un’isola lontanissima da qualsiasi agglomerato urbano, al largo dell’Oceano Indiano, con una popolazione di appena 600 abitanti. Eppure, le sue coste sono invase dalla plastica: 977mila scarpe e 373mila spazzolini, tanto per dare qualche numero. Si chiama Cocos Island, e a certificare l’invasione è stata un’équipe di scienziati dell’Institute of Marine and Antarctic Studies alla University of Tasmania, che in un articolo pubblicato su Scientific Reports (https://www.nature.com/articles/s41598-019-43375-4) ha evidenziato come il volume di detriti sull'isola sia un indicatore “dell’aumento esponenziale di inquinamento da plastica” e testimoni “un trend preoccupante nella produzione e abbandono di prodotti monouso”. Oltre a scarpe e spazzolini, gli scienziati hanno infatti catalogato posate, buste, bottiglie e cannucce.

Ma la minaccia all'ecosistema marino, oltre all'invasione dei rifiuti di plastica che provengono dalla terra ferma, è dovuta in buona parte alle modifiche che l’uso dei materiali plastici ha portato anche nelle attività della pesca ed allevamento: si stima che negli oceani ci siano circa 680.000 ton di reti di nylon, corde, ceste e trappole per crostacei di plastica, che costituiscono il 20 - 30% della plastica dispersa nei mari. Queste che vengono definite reti fantasma e le altre attrezzature abbandonate sono un costante pericolo per un gran numero di animali marini:

Nel 2015 oltre 60 balene sono morte, sulle coste occidentali degli Stati Uniti, intrappolate in reti fantasma e numeri analoghi di intrappolamenti avvengono nei mari frequentati da questi cetacei, ma queste reti sono trappole mortali anche per tartarughe, foche, squali e molti altri pesci e mammiferi che ogni anno a migliaia perdono la vita in questi grovigli di materiale plastico abbandonati negli oceani.

Almeno 240 specie di pesci e di animali marini rischiano di essere gravemente danneggiate dalla presenza di queste attrezzature da pesca abbandonate. Questi danni alla fauna marina si uniscono alle attività di pesca intensiva per mettere a rischio di estinzione un gran numero di specie marine. Per avere un’idea della quantità del danno, le reti fantasma si stima che provochino una perdita annuale di circa 200 tonnellate di merluzzo dell’atlantico (Dissostichus mawsoni) (Webber e Parker 2012).

Analogamente, dopo un’intensa attività di rimozione delle trappole per i crostacei abbandonate nella baia di Chesapeake, sulla costa orientale degli Stati Uniti, la pesca del granchio blu è aumentata del 27% (504 tonnellate).

Applicando questi risultati alla pesca degli altri crostacei, nella stessa zona, si stima che la rimozione Il 9% delle trappole abbandonate aumenterebbe a livello globale le loro pesca di un quantitativo stimato tra le 293 e le 929 tonnellate (Scheld et al. 2016), con un aumento significativo dei ricavi di questo settore.

Ma oltre alle reti un’altra pericolo drammatico che incombe sulla fauna marina è l’ingestione di notevoli quantità di residui di plastica che galleggiano in superficie o rimangono flottanti in mare senza andare a fondo: si stima che almeno la metà delle tartarughe esistenti abbiano ingerito buste di plastica scambiandole per meduse, cibo di cui sono solite nutrirsi. Analogamente balene, razze, squali balena ed altre specie che si nutrono di plancton e sono solite ingerire grandi quantità di acqua di mare per filtrare la massa di plancton in essa contenuta, finiscono con ingoiare notevoli quantità di plastica e molti di questi animali sono stati trovati morti con lo stomaco e le viscere intasate da una moltitudine di detriti di plastica.

Nel 2016 lo studio commissionato dall'ONU per le problematiche dell’inquinamento del mare dalle plastiche, afferma che oltre 800 specie marine e costiere - pesci, uccelli marini, mammiferi marini e rettili - sono gravemente danneggiate dai rifiuti di plastica presenti nei mari principalmente attraverso l'ingestione o l'intrappolamento. Secondo il rapporto, il 40% dei cetacei e il 44% delle specie di uccelli marini sono soggetti ad ingerire detriti di plastica presenti nei mari. Nei casi più gravi l'effetto dell'ingestione è la morte per blocco delle funzioni digerenti, nel caso, sempre più diffuso, vengano mangiate microplastiche, le conseguenze sulla fauna marina, sulla catena alimentare di queste specie ed infine anche sull'uomo, sono assai complesse da definire ed oggetto di studi approfonditi.

Reti, boe, trappole, ami da pesca persi o abbandonati rappresentano la più grande minaccia per la fauna marina: sono in moltissimi infatti tra pesci, mammiferi e uccelli a rimanerci intrappolati. I sacchetti di plastica rappresentano un altro pericolo in quanto vengono spesso scambiati per cibo dalle tartarughe, seguiti da posate di plastica, tappi di bottiglia, palloncini e mozziconi di sigarette, che impattano principalmente sulla fauna selvatica. Si calcola che la plastica presente negli oceani uccida 1 milione di creature marine ogni anno.

A gennaio 2016, 29 capodogli sono stati trovati arenati sulle coste del Mare del Nord, una zona troppo poco profonda per questo tipo di mammiferi. Secondo un comunicato stampa del Parco Nazionale del mare di Wadden in Schleswig-Holstein, alcune balene avevano lo stomaco iper-disteso per aver ingerito oltre 100 sacchetti di plastica, 13 metri di rete da pesca, un pezzo di un’automobile di 70 cm e altri rifiuti.

Lo studio più completo sul tema degli effetti dell’inquinamento marino sulla fauna acquatica è stato realizzato pochi mesi fa da due ricercatori della Plymouth University che hanno contato fino ad oggi più di 44.000 incidenti di 693 specie di animali diversi che sono rimasti intrappolati o hanno ingerito rifiuti – nel 92% dei casi si trattava di plastica, trasparente e di difficile decomposizione.

Tra questi animali, il 17% fa parte delle specie ‘quasi a rischio estinzione’ sulla lista rossa della IUCN (International Union for Conservation of Nature), come le 215 foche monache Hawaiane, le 138 tartarughe embricate e i 38 esemplari di balena franca.

Per completare il quadro di quanto ampia sia ad oggi la contaminazione degli ambienti naturali e degli oceani da rifiuti di plastica nelle prossime due figure si possono vedere la contaminazione sul monte Everest, fig. 26, e la presenza di plastica sul fondo della Fossa delle Marianne, fig. 27, a scoprirla sono stati gli scienziati della Japan Agency for Marine-Earth Science and Technology (JAMSTEC). A 10.898 m di profondità nella fossa oceanica più profonda del mondo, essi hanno individuato uno dei 3000 pezzi di detriti risalente addirittura a 30 anni fa.

Ma un tipo di contaminazione ancora più diffusa, più infestante e dannosa che inquina tutti gli oceani, i mari, i fiumi e diffusamente anche l’atmosfera, è dovuta alle Microplastiche, residui di plastica di dimensioni inferiori ai 5 mm sino a quelle dei micron. Questo tipo di detriti possono essere:

Microplastiche primarie provenienti da:

  • scarichi del lavaggio dei tessuti sintetici (fig. 28 b)

  • particelle contenute un molti prodotti per lo scrub, dentifici e la cura del corpo (fig. 28 a);

  • consumo dei pneumatici delle auto che si disperde nell’aria.

Microplastiche secondarie: le particelle che si generano con l’invecchiamento della plastica per effetto dalla erosione e dalla frantumazione di residui di plastica più grandi (fig. 29), queste ultime rappresentano circa il 60 – 80% di tutte le microplastiche nei mari (Vedi par. 4.E).

Le Microplastiche si trovano disperse in tutte le parti degli oceani: nelle acque superficiali, accumulate in grandi quantità sul fondo dei mari, in grossi banchi a ridosso dei litorali, diffusamente nelle fasce costiere fino a 200 m di profondità, nelle acque profonde oltre i 1000 m. Questo tipo di contaminazione dell’ecosistema marino è uno dei fenomeni più sconcertanti e preoccupanti che la produzione della plastica in soli 70 anni ha provocato in maniera diffusa.

Le organizzazioni scientifiche dell’ONU e degli istituti di ricerca internazionale impegnati nelle indagini ambientali, valutano che circa il 2,9% della plastica prodotta sia andata dispersa negli oceani, ovvero il 2,9% di 9,8 miliardi di tonnellate = 280 Mill. di ton ma quello che è stato osservato e rilevato sulla superficie degli oceani è di circa 3 ordini di grandezza in meno, ovvero circa 268.000 ton.

Nella fig. 30 si può vedere la ripartizione dei rifiuti della plastica rilevati sulla superficie dei mari: le macroplastiche costituiscono la massa prevalente con circa 200.000 ton, il numero totale di microplastiche rilevate ammonta a 5,26 TRILIONI di particelle di microplastica ovvero 5,6 x1018 un numero più elevato delle stelle che riusciamo a contare nella nostra galassia. Ma le ricerche sulla problematica ambientale negli oceani non si sono fermate alle rilevazioni in superficie, si sono spostati ad analizzare i fondali dei mari ed i risultati sono mostrati nei seguenti tre grafici che seguono:

Nelle zone adiacenti ai litorali si accumulano residui di plastica che, oltre a provenire dagli sversamenti di rifiuti recenti, ritornano dalle acque costiere per effetto delle mareggiate e delle correnti: in particolare le microplastiche che ritroviamo in questa zona sono in buona parte dovuti alla frantumazione di rifiuti vecchi anche di 20 – 40 anni che si depositano sui fondali in vicinanza della riva o stazionano in questa zone della costa; si stima che ce ne siano circa 40.000.000 di ton. (fig. 31-a);

Nelle acque costiere ( fig. 31 -b) si accumulano le plastiche di origine più recente, circa 230.000 ton, il 75% è stata generata meno di 5 anni fa;

Nelle acque al largo degli oceani, profonde più di 200 m, si accumulano circa 1.500.000 ton, di cui la plastica di recente formazione, ultimi 5 anni, costituisce solo il 25%.

Negli ultimi 3 grafici si può constatare che le microplastiche sono state rilevate in grandi quantità come sedimenti che si accumulano in banchi sul fondo dei mari e degli oceani seguendo i moti delle correnti; I frammenti della plastica con densità maggiore di quella dell’acqua precipitano sui fondali, quando poi attorno a loro aderiscono alghe e microrganismi tendono ad avere una densità minore e ritornano a flottare nelle acque disperse dalle correnti ritornando in parte nelle zone in prossimità delle coste, secondo il modello rappresentato in fig. 32.

Se, dunque, la plastica non è biodegradabile, ovvero non viene attaccata o decomposta dai microrganismi né sulla terra né in acqua, con l’azione dei raggi UV, tende a modificare la sua consistenza meccanica ed a sgretolarsi in particelle minute che in ogni caso persistono tal quali sia nell'acqua che sul suolo.

A partire dagli anni ’70 sino al 2016 la tecnica di campionamento delle microplastiche aveva sempre utilizzato dei retini con maglie capaci di trattenere residui di dimensione maggiori di 0,3 mm; sulla base di tali rilevazioni e di sofisticati modelli matematici, si arrivava alla conclusione che la diffusione delle microplastiche era mediamente di 10 particelle per metro cubo di acqua. Negli ultimi anni, invece, le ricerche hanno puntato a rilevare anche le particelle di plastica di dimensioni inferiori, sino ai 10 micron, usando tecniche di campionamento particolari e microscopi a fluorescenza. In particolare le nuove metodologie oltre a raccogliere ed analizzare sia campioni di acqua di mare filtrati con maglie molto più ristrette, hanno raccolto sistematicamente un gran numero di salpe, degli invertebrati gelatinosi filtratori che aspirano acqua sia per mangiare che per muoversi e che vivono nell’acqua marina in tutte le zone, da quelle superficiali fino ai 2000 metri di profondità (vedi fig. 33).

L’azione continua di questi organismi che ingeriscono acqua di mare sia per nutrirsi che per muoversi, con un tempo di permanenza dei materiali ingeriti di circa di 2 ore, li rende perfettamente idonei a rilevare la presenza di qualsiasi tipo di residuo nelle acque dove essi vengono ritrovati. Gli studi recenti basati su tale tecnica analizzando l’interno delle salpe, hanno trovato frammenti di microplastiche in tutte le zone dei campionamenti, aggiungendo fondamentali informazioni relative alla presenza, diffusa in tutti i bacini oceanici della terra, di grandi quantitativi di mini – microplastiche, sistematicamente ritrovate all’interno delle salpe.

La conclusione di tali studi ha consentito di elaborare nuovi modelli della presenza di frammenti di plastica di dimensioni a partire da pochi micron di grandezza, la cui composizione chimica era comunque inalterata rispetto a quella dei materiali da cui si erano originati, da 10 particelle per metro cubo di acqua, delle conclusioni degli studi precedenti, si è passati a valutare 8.300.000 particelle di microplastica per metro cubo di mare!

Questi nuovi risultati portano ad una nuova più completa comprensione di quello che è accaduto negli ultimi 50 anni a causa dell’enorme sviluppo e diffusione dei prodotti di plastica usa e getta ed all’incontrollato smaltimento di tali rifiuti. Il sistema ecologico degli oceani, cuore della vita del pianeta, sta subendo una contaminazione da parte di materiali di plastica, mai esistiti prima, che, man mano che si approfondiscono le indagini e le metodologie di tale rilevazioni, si rivela sempre più ampia e pervasiva. Nel 2016 si stimava un totale di quantitativi presenti negli oceani di 280 Mil di ton; di questi solo una piccola parte 268.500 ton risultava visibile nelle acque superficiali(vedi fig. 30). A queste si aggiunge un quantitativo di circa 680.000 ton di reti ed attrezzature da pesca abbandonate nel fondo dei mari, rimaneva irrisolto il problema di dove fosse localizzata la gran parte della plastica dispersa negli oceani e non rilevabile in superficie. Oltre, dunque, alle plastiche di dimensioni superiori ai 5 mm, che hanno un peso specifico simile a quello dell’acqua di mare e che sono disperse all'interno del volume di acqua degli oceani, ci sono enormi quantità di microplastiche di dimensioni inferiori al millimetro sino a pochi micron dispersi nella quasi totalità dei mari della terra ed in banchi di grandi dimensioni sul fondo degli oceani.

La diffusione di tali piccolissimi frammenti di plastica, valutata in 8,3 milioni di particelle per metro cubo di acqua, che coesiste con la gran massa di plancton che costituisce l’alimento di base per tutta la catena alimentare della fauna marina, inevitabilmente viene ingerita da tutti i tipi di pesce presenti nei mari e da questi passa negli uccelli ed in tutti gli animali che si cibano di pesce, compreso l’uomo.

Le ricerche stanno elaborando progressivamente nuovi approfondimenti sui complessi meccanismi che entrano in gioco in quello che viene definito “il brodo di plastica” degli oceani. Si ritiene che buona parte della plastica galleggiante affondi nel corso del tempo. Anche gli uccelli trasportano la plastica, raccogliendo piccoli pezzi di plastica dall'acqua e volando per migliaia di chilometri, quella plastica viene ingerita nello stomaco in piccoli pezzi che poi possono espellere sulla terra. Questo è il caso delle Procellarie Artiche, diffuse in tutto il nord atlantico e nord pacifico, sono uccelli che si nutrono di pesce che pescano immergendosi sino a 4 metri di profondità; da campionamenti fatti nell'Europa nord-occidentale, questi uccelli hanno una media di 35 pezzi di plastica nei loro corpi, il numero di questi uccelli è di cieca 20 milioni, di cui due milioni nell'area del Mare del Nord, macinando e disperdendo non meno di 630 milioni di pezzi ogni anno, per un totale di sei tonnellate. Una parte della plastica che finisce in mare, verrà, quindi depositata a terra, lontano dal mare. Anche gli animali marini che inghiottono la plastica possono aiutare a chiarire il mistero di dove si trova quantità notevoli della plastica che finisce nei nostri oceani.

Questa situazione, per l’ecosistema marino, è completamente nuova ed imprevista, originata da soli 70 anni per l’enorme diffusione della plastica, sta determinando situazioni del tutto imprevedibili non solo per questo ambiente ma anche per quello terrestre e direttamente per la salute degli uomini. Valutare quali possano essere tali ripercussioni nel medio lungo termine, vista la persistenza per centinaia, migliaia di anni di questi materiali, sull'equilibrio dell’ambiente naturale stabilizzato da milioni di anni è estremamente complesso e riscontrabile in tempi medio lunghi.

Le plastiche sono generalmente costituite da materiali inerti ma nella formulazione della gran parte dei prodotti vengono usati una molteplicità di additivi o coloranti o componenti per conferire particolari proprietà come per esempio la resistenza alla fiamma, solitamente queste sostanze sono presenti in percentuali che vanno dal 10 al 15%. Quali possono essere gli effetti di tali componenti sull'ambiente marino e anche sull'uomo non è ancora stato possibile valutarlo ma è assolutamente certo che quantitativi sempre maggiori di microplastiche siano ormai diffusi nella maggior parte delle acque ed in un numero sempre crescente di alimenti largamente ingeriti dagli uomini.

Le materie plastiche spesso contengono additivi come stabilizzanti, plastificanti, ritardanti di fiamma e pigmenti che possono essere rilasciati nel acque o adsorbiti quando vengono ingerite da pesci e mammiferi (Figura 35); nelle 280 milioni di tonnellate di materie plastiche che si ritiene siano presenti negli oceani, si stima che esse includano circa 23 milioni di tonnellate di additivi. (per ulteriori informazioni vedi All. 1 – Tab. 1 e Riferimento manuale “Hazardous Chemicals Associated with Plastics in the Marine Environment”

La diffusione e la sempre più estesa contaminazione degli ambienti marini, i danni già ampiamente riscontrati alla fauna marina costituiscono ragioni più che valide per ripensare alla reale utilità di un’ampia gamma di prodotti realizzati con materiali plastici o alla possibilità di sostituirli con materiali compatibili con i cicli biologici della natura che esistono e sono stati impiegati da decine di migliaia di anni.

5.3 – La gestione dei rifiuti di plastica in Europa

Dopo aver constatato che le condizioni più critiche per lo sversamento di rifiuti di plastica in mare e dell’inquinamento degli oceani sono quelle del Pacifico e degli scarichi incontrollati dalla China e da numerosi altri paesi asiatici, andiamo ad esaminare da vicino, la situazione della gestione dei rifiuti di plastica, da parte dei paesi della Comunità Europea e, quindi, le condizioni dell’inquinamento del mar Mediterraneo.

Nei 30 paesi della comunità Europea, presentati nella fig. 36, 10 hanno una legislazione che non permette l’accumulo indiscriminato in discarica dei rifiuti di plastica. Questi 10 paesi dichiarano mediamente una percentuale di riciclo della plastica di circa il 35%, la rimanente parte viene bruciata nei termovalorizzatori, come combustibile. Nei rimanenti 20 paesi, viene ancora dichiarata una percentuale di riciclaggio delle plastiche di circa un 25%, una quota analoga del 25% viene smaltita come combustibile ed un residuo 50% viene accumulato in discariche.

Ma andando ad analizzare più approfonditamente le modalità del riciclo della plastica da parte dei paesi europei ed anche da parte degli USA e del Canada, si scopre che la maggior parte di questi paesi ha inviato ogni anno ingenti quantità di materiale plastico in China, quando dal 2018 questo paese ha deciso di chiudere il proprio paese all'importazione di tali rifiuti, le esportazioni si sono dirette verso altri paesi in via di sviluppo come la Tailandia, la Malesia, il Vietnam, le Filippine.

Come già sottolineato in precedenza, la problematica del riciclo della plastica per ottenere materiali riutilizzabili di qualità accettabile e conformi alle prescrizioni, per esempio europee, per il loro riutilizzo, necessita di una accurata selezione dei rifiuti della plastica separandoli per tipologia di materiale, per colore, per livello di contaminazione, operazioni queste che richiedono, nella maggioranza dei casi, un impegno di mano d’opera, che deve operare in condizioni igieniche alquanto precarie, spesso incompatibili con le normative di sicurezza del lavoro dei paesi europei o avanzati, e, ovviamente, con costi della mano d’opera elevati.

Nello stesso tempo, molti paesi in via di sviluppo hanno interesse ad utilizzare materie prime riciclate, a costi inferiori rispetto a quelle vergini, hanno costi di mano d’opera molto inferiori per le operazioni di selezione, hanno restrizioni molto inferiori sia per quanto riguarda la sicurezza del lavoro sia sulla possibilità di utilizzo della materia prima riciclata per una gamma più estesa di prodotti finiti ed, infine, sullo smaltimento dei rifiuti risultanti dalla cernita dei materiali da riciclare.


Il principale paese che ha importato rifiuti di plastica per avviarli al riciclo è stata la China sino al 2017, nel 2018 il governo cinese ha deciso di interrompere l’ingresso nel paese di tali materiali.

Come si vede sono molti i paesi sviluppo che dichiarano di effettuare il riciclo delle materie plastiche ma quantità consistenti sono inviate in China ed in altri paesi in via di sviluppo, fig. 39.

Con il divieto della China ad importare rifiuti di plastica, nel 2018 c’è stato un brusco sconvolgimento delle esportazioni della plastica ma rapidamente i flussi di esportazione hanno trovato altre destinazioni, ecco come sono cambiate le destinazioni per l’Italia nel 2018 e 2019 con il divieto di esportazione in China:, Fig. 40. A, 40.B:

Conclusione: anche i così detti paesi virtuosi, che dichiarano elevate percentuali di riciclo dei rifiuti della plastica, esportano e lucrano sulla vendita di grandi quantità di plastica ai paesi in via di sviluppo che completano le operazioni di selezione e riciclo; con il ricavato producono prodotti di plastica di qualità scadente che spesso ritornano nei mercati dei paesi di partenza e, inoltre, danno luogo ad ulteriori sversamenti incontrollati di plastica nei loro paesi, contribuendo all'inquinamento di fiumi e del mare nei paesi sottosviluppati.

5.4 Il Mediterraneo – il Mare Nostrum

La minaccia dell'inquinamento da plastica nel Mediterraneo

La regione del Mediterraneo comprendente 22 paesi e territori che producono il 10 per cento di tutte le merci in plastica, facendone il 4° più grande produttore di plastica del mondo, con una crescita del 4% all'anno.

Come mostrato in fig. 41, la produzione di prodotti di plastica nell'area del mediterraneo ha raggiunto quasi 38 milioni di tonnellate nel 2016, con un equivalente di 76 Kg di articoli in plastica per ogni persona che vive nel regione, che è di 23 Kg più della media globale. La produzione di plastica in tutti i paesi del Mediterraneo emette circa 194 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno.

Più della metà della plastica diventa rifiuto in meno di un anno dopo che è stato prodotto e la maggior parte viene inviato in discarica o inceneritore, piuttosto che riciclato o riutilizzato. Pochi paesi hanno raggiunto tassi significativi di raccolta differenziata per la plastica, che consentirebbe di assicurare la fornitura costante di materiale plastico per il riciclaggio. Quasi un terzo dei rifiuti di plastica del Mediterraneo è mal gestito, Questa plastica, che rimane non raccolta o finisce in discariche illegali e discariche aperte, molto probabilmente viene scaricata nei fiumi e infine nel mare. Ogni il paese nella regione gestisce male una parte della sua plastica e contribuisce al problema dell'inquinamento da plastica.

I paesi del Mediterraneo generano 24 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica ogni anno, solo il 72% viene gestito in maniera controllata, con trattamento dei rifiuti eseguito adeguatamente solo in alcuni paesi.

Di tutti i rifiuti generati, vengono raccolti 20,4 milioni di tonnellate (85%), lasciando 3,6 milioni di tonnellate (15%) non raccolte e potenzialmente abbandonato nell'ambiente naturale. Dei rifiuti raccolti, 17,3 milioni di tonnellate (72%) è gestito attraverso un trattamento controllato dei rifiuti: 10,2 milioni di tonnellate (42 %) finiscono in discariche controllate; 3,3 milioni di tonnellate (14 %) sono inceneriti; e 3,9 milioni di tonnellate (16 %) sono riciclate.

I rifiuti rimanenti vengono gestiti in modo inadeguato: con 0,2 milioni di tonnellate (1%) finiscono in discariche che non rispettano nessuno standard sanitario (discariche non controllate), 2,8 milioni di tonnellate (12%) viene abbandonato illegalmente. I 6,6 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica non raccolto, quelli scaricati illegalmente o smaltite in discariche non controllate, indicati nell'insieme come rifiuti mal gestiti, sono la principale fonte di versamento di plastica nel Mar Mediterraneo.

I paesi del Mediterraneo meridionale riciclano meno del 10% dei loro rifiuti di plastica, che è un tasso di riciclaggio inferiore alla regione nel suo insieme. Tre paesi rappresentano i due terzi di plastica che viene abbandonata nell'ambiente. Ogni paese del Mediterraneo gestisce male una parte dei suoi rifiuti, come mostrato nella Figura 42, in relazione al loro sistema di produzione e consumo di plastica, alle dimensioni ed allo sviluppo della loro economia, al loro attuale sistema di gestione dei rifiuti, i maggiori contribuenti alla cattiva gestione dei rifiuti mal gestiti nel bacino del Mediterraneo sono: l'Egitto (42,5%), Turchia (18,9 %) e Italia (7,5 %).

Finiscono nel mare Mediterraneo 570.000 tonnellate di plastica all’anno, l’equivalente di 33.800 bottiglie di plastica nell'acqua ogni minuto; anche se la maggior parte dei rifiuti di plastica viene abbandonata a terra o nei fiumi, circa il 10% di questo inquinamento finisce per inquinare le acque del mare.

Le attività costiere, di turismo e della pesca, contribuiscono alla metà della plastica che entra nel Mar Mediterraneo e il 30 % arriva dalla terra attraverso i fiumi; il resto della plastica proviene da attività di pesca svolte direttamente nel mare. Su base pro capite, i Paesi del Mediterraneo orientale sono quelli che hanno la peggiore gestione dei rifiuti, causando maggiori sversamenti di rifiuti ed un mare più inquinato (figura 44): la regione della Cilicia in Turchia ha il più alto inquinamento costiero nel Mediterraneo, seguito dalle zone costiere intorno a Barcellona ed a Tel Aviv, altri hotspot in corrispondenza delle città includono Valencia, Alessandria, la costa da Venezia al Delta del Po e la baia di Marsiglia.

Le altre zone particolarmente contaminate sono quelle in corrispondenza dei fiumi: in Turchia quelle vicine ai fiumi Ceyhan e Seyhan, in Italia il delta del Po e quello del fiume Nilo in Egitto (Fig. 45).

Come riportato dal WWF, l’inquinamento del Mediterraneo provoca danni economici al turismo, alla pesca e alle altre attività marittime per circa 641 milioni di euro ($ 722 milioni) ogni anno.

Il Mar Mediterraneo rappresenta meno dell'1% dell'area globale degli oceani ma è importante in termini economici ed ecologici: contiene tra il 4% e il 18% di tutte le specie marine e fornisce turismo e reddito da pesca per i paesi del Mediterraneo.

Come succede negli oceani, le indagini svolte negli ecosistemi del Mediterraneo hanno denunciato che la plastica nel Mediterraneo veniva trovata nello stomaco di pesci, uccelli, tartarughe e balene e che piccoli pezzi di plastica - le microplastiche - erano stati trovati anche nelle ostriche e nelle cozze.

I rifiuti di plastica stanno danneggiando l'ecosistema mediterraneo: l'inquinamento da plastica uccide la fauna selvatica acquatica, danneggia i sistemi naturali e contamina le catene alimentari marine; ogni anno, le persone che vivono nella regione del Mediterraneo assumono sempre più plastica dal cibo e dall'acqua, con effetti ancora sconosciuti. In tutto il Mediterraneo oltre 700 specie marine, compresi i mammiferi e gli uccelli ingeriscono rifiuti di plastica, rimangono intrappolati nelle reti abbandonate o subiscono il grave degrado del loro habitat. Nel Mediterraneo, l'inquinamento da plastica e le reti fantasma causano lesioni o morte agli uccelli marini (35%), pesci (27%), invertebrati (20%), mammiferi marini (13%) e rettili (5 %).

Nel Mediterraneo l’economia blu rappresenta il 6% della regione PIL, ma perde circa 641 milioni di euro l’anno per l’inquinamento marino da plastica: il turismo contribuisce per oltre tre quarti del valore prodotto, il commercio marittimo e la pesca producono il resto.

Anche per le microplastiche le indagini effettuate nel Mediterraneo hanno identificato livelli elevati sul fondo del mare: elevati livelli di contaminazione sono stati trovati nei sedimenti estratti dal fondo del Mediterraneo, vicino all'Italia, l'analisi, condotta dall'Università di Manchester, ha rilevato fino a 1,9 milioni di pezzi di plastica per metro quadrato.

La composizione delle microplastiche include fibre di tessuti sintetici e piccoli frammenti di oggetti più grandi che si sono sbriciolati nel tempo.

Il Mar Mediterraneo risulta essere una delle aree più infestate dai rifiuti di plastica al mondo, poiché è un bacino semi-chiuso, è ancora più vulnerabile all'inquinamento da plastica rispetto all'oceano; l'acqua ha un periodo di rinnovamento di 90 anni e la plastica persiste per periodi superiori a 100 anni.

Nel Mar Mediterraneo si trova il 7% dei rifiuti di microplastica del mondo, eppure la sua superficie è l'1% del totale degli oceani. Si riscontra un'alta concentrazione di detriti galleggianti con la maggior parte degli oggetti (dal 60 al 70%) sotto forma di pezzi di plastica.

Nel 2016 è stato condotto uno studio in Turchia per la rilevazione di microplastica nei pesci e nell'acqua di mare: in 28 specie diverse, il 58% del pesce totale aveva una media di 2,36 particelle e il 41% aveva una media di 1,80 per pesce. La quantità di Microplastica nei campioni di acqua raccolti in 18 località sulla costa della Turchia mediterranea era compresa tra 16.339 e 520.213 particelle di microplastica per km2 con un predominio di materie plastiche blu.

Nello stesso periodo, nel 2016, è stato condotto un altro studio in Palestina per rilevare la microplastica nell'acqua di mare; campioni sono stati prelevati in 17 località sulla costa mediterranea della Palestina, le microplastiche sono state trovate in tutti i campioni con una media di 1.518.340 particelle / km2 con una predominanza di colori chiari come la plastica bianca e trasparente.

6 – Conclusioni

La scoperta dei materiali plastici rappresenta una importante innovazione, frutto dell’evoluzione tecnologica che l’umanità è stata capace di realizzare nel corso della sua evoluzione. Ad essa hanno contribuito fondamentalmente il progresso delle conoscenze della chimica ed in particolare quelle della così detta chimica organica, ovvero dei composti a base di carbonio e delle reazioni di polimerizzazione, unite al forte impulso della scoperta dei grandi giacimenti di petrolio.

Per la prima volta nella storia del pianeta, dopo l’utilizzo di un’ampia gamma di materie prime che l’uomo ha imparato a ricavare dalla natura ed usare per i propri scopi: la pietra, i metalli, la lana, la seta, le fibre naturali, il legno, le pelli, l’uomo ha inventato una nuova materia prima: la plastica.

Parliamo in realtà di una gamma molto ampia di materiali che sono inclusi nella categoria della plastica: le caratteristiche fondamentali dei materiali di plastica sono indubbiamente molto performanti: resistenza meccanica, leggerezza tenacità, flessibilità, resistenza agli agenti atmosferici e chimici, impermeabilità ma soprattutto la possibilità di realizzare forme svariate e complesse con la tecnologia delle termoformatura, con presse che fondono la materia prima ed iniettano la plastica negli stampi.

Questa lavorazione è facilmente automatizzabile e grazie all'evoluzione delle materie plastiche e dei macchinari per la loro formatura, a partire dagli anni ’60, del secolo scorso sino ai giorni d’oggi le materie plastiche hanno avuto un enorme sviluppo in una ampia gamma di settori.

Hanno sostituito in moltissime applicazioni altri materiali come: il vetro, la carta, la stoffa, l’acciaio, l’alluminio, in molti settori come i contenitori, il packaging, la meccanica, l’elettrico, ecc. Con la plastica sono state realizzate un’ampia gamma di fibre da impiegare sia per filamenti, corde che per la tessitura di stoffe con fibre sintetiche.

Certamente le sue caratteristiche fisiche, la versatilità del suo impiego, i bassi costi di produzione e del petrolio da cui si ricava prevalentemente la materia prima in soli 70 anni hanno determinato un enorme rapidissimo sviluppo di questo settore: dai 15 milioni di tonnellate nel 1964 si è passati a 400 milioni di ton. nel 2016 con ritmo di crescita che continua ad attestarsi su circa il 9% di incremento annuo.

Da un punto di vista tecnico ed economico, ci sono certamente applicazioni in cui l’uso della plastica può realmente essere difficilmente sostituibile per costi/prestazioni, ma è altrettanto vero che in una grande quantità di applicazioni, principalmente nell'enorme gamma di prodotti usa e getta l’utilizzo di questa materia prima non dà vantaggi apprezzabili né di prestazioni né di costo che possano compensare i costi elevati dello smaltimento di enormi quantità di rifiuti e dell’enorme danno all'equilibrio dell’ecosistema.

L’ambiente naturale, per centinaia di milioni di anni, in tutto l’arco della storia, è stato costituito da materiali assimilabile alle rocce che esistono in natura (vetro, ceramica, mattoni, cemento, ecc..), metalli che una volta estratti dalle miniere e raffinati hanno un ciclo perenne di riciclaggio, oppure il legno, la carta e le fibre naturali che sono a loro volta assimilabili a componenti identici esistenti nel ciclo naturale e biodegradabili.

L’enorme quantità di rifiuti accumulati nei 70 anni di produzione dei materiali plastici, in relazione agli elevati costi di gestione dei rifiuti ed alla loro non biodegradabilità, l’impossibilità di poter riciclare tale materia prima se non per un numero limitato di cicli, la presenza di un’ampia gamma di composti chimici aggiunti alla loro composizione di base, hanno innescato allarmi estremamente seri e preoccupanti per il disastroso impatto sugli equilibri degli ecosistemi della terra ferma ma soprattutto per quelli marini. Particolarmente preoccupante e pervasivo è il fenomeno dei rifiuti di microplastiche sia di generazione primaria (fibre, pneumatici, microplastiche) sia di generazione secondaria (frantumazione ed erosione delle macroplastiche) che sono ormai ampiamente diffuse negli oceani, nell'aria e nei territori, che in maniera sempre più diffusa vengono ingeriti da microrganismi e da animali, marini ed uccelli, ed entrano in quantità progressivamente maggiori anche nella catena alimentare che giunge all'uomo, con conseguenze sia sulla nostra specie che su quelle animali del tutto imprevedibili.

Qualsiasi ragionamento basato su oggettive considerazioni tecnologiche, economiche e di salvaguardia dell’ambiente naturale, la cui compromissione andrebbe considerata come un reato ed un delitto nei confronti delle future generazioni, imporrebbero doverose considerazioni di design for the environment, nella riprogettazioni dei prodotti per i quali oggi è già usata la plastica e per la realizzazione di nuovi prodotti, nonché la definizione di Normative Tecniche Standard, definite, concordate a livello internazionale ed applicate con stringenti normative di legge, come quelle vigenti per la sicurezza di uso dei prodotti, classificando sullo stesso piano la sicurezza e la salute delle persone e quella dell’ambiente naturale nonché la salute e la sicurezza delle future generazioni.

L’unico argomento che osta a degli oggettivi ragionamenti di analisi dei benefici ed il prezzo da pagare per l’utilizzo massivo delle plastiche è l’interesse economico del ristretto numero di monopoli industriali, direttamente collegati a quelli del petrolio che dal 4 – 8% dell’impiego di tale materia prima ricavano un fatturato che vale circa il 20% di quello globale del petrolio.

Lo sviluppo di materiali plastici biodegradabili, che per buona parte non utilizzano materia prima derivata dal petrolio ma composti di origine vegetale, o di tecnologie di recupero e conveniente riciclo della plastica, ad oggi sono ancora a un livello non adeguato, come soluzione competitiva con le materie plastiche primarie o sono poco spinte dalla lobby dei produttori.

La razionalità, il bene comune delle persone, il rispetto doveroso per l’ecosistema dovrebbero imporre un ripensamento indifferibile, sull'eliminazione dei prodotti di plastica usa e getta, sulla drastica riduzione dell’uso della plastica nel packaging e valutarne l’impiego, in alternativa alle materie prime tradizionali, solo in caso di impossibilità di soluzioni alternative.

Per quanto riguarda lo smaltimento della plastica, probabilmente la termovalorizzazione, ovvero la combustione controllata di tali rifiuti, nei processi dove è indispensabile l’utilizzo di combustibili fossili come la produzione del Cemento o della Ghisa negli altoforni, consentirebbe di distruggere definitivamente i rifiuti esistenti della plastica che venissero recuperati e quelli di futura generazione con delle modalità di differenziazione semplici ed alla reale portata degli utenti, indipendentemente dalla loro composizione chimica e della loro contaminazione con rifiuti organici.

Di fondamentale importanza, inoltre, è informare diffusamente il maggior numero di persone sulla gravità dei problemi che l’uso intensivo della plastica ha già generato all'ecosistema della terra e rendere manifesto il loro dissenso in maniera ampia e decisa alla attuale classe Politica.

Per contrastare le forze economiche che gestiscono e promuovono lo sviluppo incondizionato delle materie plastiche, per rendere esplicito ai politici governanti il dissenso di numeri sempre più ampi di cittadini che consapevolmente intendono opporsi alluso indiscriminato della plastica, un’iniziativa emblematica, alla portata di tutti e che non comporta alcun tipo di significativa rinuncia, può consistere nel BOICOTTAGGIO SISTEMATICO DI TUTTI I PRODOTTI IMBOTTIGLIATI IN CONTENITORI DI PLASTICA USA E GETTA, scegliendo di comprare solo i prodotti equivalenti che utilizzano vetro, metallo o cartone.

Napoli 7 settembre 2020

Ing. Vittorio Savarese

Hazardous Chemicals Associated with Plastics in the Marine Environment https://link.springer.com/book/10.1007/978-3-319-95568-1 Editors: Hideshige Takada, Hrissi K. Karapanagioti Book is Part of the The Handbook of Environmental Chemistry book series (HEC, volume 78) Table of contents (16 chapters) Additives and Chemicals in Plastics - Anthony L. Andrady, Nepali Rajapakse Pages 1-17 Food Containers and Packaging Materials as Possible Source of Hazardous Chemicals to Food - Evangelia Manoli, Dimitra Voutsa ; Pages 19-50 Release of Additives and Monomers from Plastic Wastes ; Charita S. Kwan, Hideshige Takada ; Pages 51-70 Degradation of Various Plastics in the Environment; Kalliopi N. Fotopoulou, Hrissi K. Karapanagioti ; Pages 71-92 Occurrence of Marine Litter in the Marine Environment: A World Panorama of Floating and Seafloor Plastics; Christos Ioakeimidis, François Galgani, George Papatheodorou; Pages 93-120 Sources, Distribution, and Fate of Microscopic Plastics in Marine Environments; Richard C. Thompson; Pages 121-133 Nature of Plastic Marine Pollution in the Subtropical Gyres; Marcus Eriksen, Martin Thiel, Laurent Lebreton; Pages 135-162 Hazardous Chemicals in Plastics in Marine Environments: International Pellet Watch; Rei Yamashita, Kosuke Tanaka, Bee Geok Yeo, Hideshige Takada, Jan A. van Franeker, Megan Dalton et al.; Pages 163-183 Sorption of Hydrophobic Organic Compounds to Plastics in the Marine Environment: Equilibrium; Satoshi Endo, Albert A. Koelmans; Pages 185-204 Sorption of Hydrophobic Organic Compounds to Plastics in the Marine Environment: Sorption and Desorption Kinetics; Hrissi K. Karapanagioti, David Werner; Pages 205-219 Biofilms on Plastic Debris and Their Influence on Marine Nutrient Cycling, Productivity, and Hazardous Chemical Mobility; Tracy J. Mincer, Erik R. Zettler, Linda A. Amaral-Zettler; Pages 221-233 Ingestion of Plastics by Marine Organisms; Peter G. Ryan; Pages 235-266 Transfer of Hazardous Chemicals from Ingested Plastics to Higher-Trophic-Level Organisms; Kosuke Tanaka, Rei Yamashita, Hideshige Takada; Pages 267-280 The Role of Plastic Debris as Another Source of Hazardous Chemicals in Lower-Trophic Level Organisms; Chelsea M. Rochman;Pages 281-295 Conclusions of “Hazardous Chemicals Associated with Plastics in Environment”; Hrissi K. Karapanagioti, Hideshige Takada; Pages 297-305 Erratum to: Food Containers and Packaging Materials as Possible Source of Hazardous Chemicals to Food; Evangelia Manoli, Dimitra Voutsa; Pages 307-308